Fisioterapista di Jean-Jacques Rousseau

 

Negli ultimi mesi mi sono accorto di notare spesso quanto i pazienti, le relazioni terapeutiche e i trattamenti riabilitativi abbiano un sottofondo generale di costrizione e limite, mentre manchino spesso di ariosità e libertà.

Partiamo proprio dalla libertà. Una persona libera è libera di fare ciò che vuole, di scegliere se fare o non fare, di sfruttare il tempo e i suoi soldi come desidera. Ciascuna di queste possibilità rende la vita di ognuno di noi meno grigia e più leggera, quasi che ci riconciliasse con l’animale che è nascosto, nemmeno troppo sotto, in tutti noi. Sono sicuro che ogni lettore saprà notare la differenza tra le volte in cui la giornata è stata realmente figlia di scelte più o meno programmate e quando le ingerenze esterne, siano esse lavorative, familiari o di qualsivoglia natura, ci procurano un’insoddisfazione più o meno razionalizzabile. Quanta gioia c’è nel sentirsi invincibili, padroni del proprio destino, del proprio tempo e nel poter dire e fare ciò che sentiamo emergere dentro senza dover applicare filtri.

Questa gioia primordiale è proprio quella che viene spesso tolta dal dolore e dalla disabilità che ne deriva ai nostri pazienti. Pazienti che evitano, che non possono più scegliere liberamente cosa fare ogni mattina, che hanno una importante limitazione di questo ventaglio di possibilità in molti ambiti della loro vita. Pazienti che non sono più padroni del loro tempo, che devono fare tutto lentamente, rendendo le loro giornate corte da un lato e lunghissime per il grigiore che le caratterizza. Pazienti che devono spendere soldi e tempo per visite, esami e terapie che vanno a concorrere al poco tempo libero che rimane, tolte le mille incombenze della vita.

Com’è ovvio, il fato dà e il fato toglie. I limiti e la relazione con essi sono una delle cose che caratterizzano l’età adulta e che, se disfunzionale, può provocare problemi. Molto meno di ciò che pensiamo e vorremmo è sotto il nostro controllo e illudersi rincorrendo una libertà totale e ideologica non è sicuramente saggio. Detto ciò, è importante distinguere i limiti immodificabili causati dal fato, dalla patologia, da Dio o dalla sfiga, dai limiti eccessivi e inutilmente incatenanti. Fate caso a quante catene stanno imbrigliando il paziente, quelle di cui lui stesso è consapevole e quelle di cui nemmeno si accorge. Quante di quelle catene sono reali? Quante invece sono state aggiunte da altri professionisti sanitari, amici o familiari con l’intento di aiutare, ma con il solo effetto di limitare la libertà di quella persona? E mi raccomando, non fermatevi ai soliti esempi legati a convinzioni disfunzionali che inducono comportamenti di evitamento, ma pensate a tutto ciò cui il vostro cane o, ancora meglio, il vostro gatto non avrebbe recepito. Moltissime indicazioni possono essere anche utili a proteggere il paziente ed essere la scelta più sensata a freddo, ma comunque andranno a ferire l’animo libero di quella persona. Tutto ciò che non viene da dentro, da quella leggerezza istintuale che guiderebbe un bambino. Tutti i devo, utili o non utili.

È lapalissiano che nel nostro lavoro sia inevitabile e anche richiesto dare indicazioni, ma occorre non dimenticarsi di quell’animo libero che sta dentro ogni nostro paziente. È un motore straordinario per il nostro lavoro, va titillato il prima possibile perché sarà il protagonista della motivazione per la riduzione della disabilità. Provate a dare libertà ai vostri pazienti e lo vedrete nel loro sguardo. Togliete loro catene e lo vedrete nei loro occhi, riemergerà l’uomo libero e sarà quello a guidare la riabilitazione verso la giusta direzione. Prescrivete l’onere della scelta libera, riallenateli a esplorare invece che obbedire. Alcuni si sentiranno persi all’inizio, spaventati dall’horror vacui, ma ne varrà la pena.

La libertà può far paura, soprattutto a chi è in catene da anni e se ne è fatto anche solo parzialmente scudo, ma sta a voi riaccompagnarli in questo percorso durante la riabilitazione. Aiutarli a sentire com’è tornare spensierati, senza imposizioni e senza prescrizioni da seguire. Liberi e responsabili. Concedetemi una blasfemia e permettetemi di modificare la famosa frase di Gifford in: la riabilitazione è il ritorno al fare ciò che uno vuole. Anzi no, serve dare quella pennellata di rabbia e violenza che caratterizza il ritorno alla libertà dopo essere stati in catene, meglio: la riabilitazione è il ritorno al fare il cazzo che uno vuole. Ecco sì, suona meglio.

E voi, volete essere aguzzini, carcerieri per il bene dei pazienti o liberatori?

Michele